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CATTEDRALE E MUSEO "G. B. TOSIO"

Intitolata all’Assunzione della Beata Vergine Maria e a Sant’Andrea apostolo fu costruita a partire dal 1472, è l’ultima delle grandi chiese italiane in stile gotico.

La chiesa di S. Andrea, in origine di modeste proporzioni e ad un’unica navata, risulta da un documento già eretta nel 1307 al centro della fortezza asolana anche se tradizionalmente la sua fondazione viene fatta risalire al 1377 sulla base di quanto affermato nelle Historie asolane del Mangini.
Nella seconda metà del Quattrocento (1472) viene ampliata e ricostruita in stile gotico-lombardo su progetto dell’architetto cremonese Guglielmo De Lera mantenendo della costruzione precedente solo l’abside poligonale e il campanile.
Consacrata il 27 Gennaio 1501 la nuova sede della Commenda asolana diventerà Cattedrale in quanto sede di un arciprete che di fatto esercita potere vescovile (1507).
La dedicazione all’Assunta si aggiunse nel 1564 quando fu demolita l’antica pieve a Lei intitolata fuori le mura del borgo.
Esternamente la Cattedrale s’innalza con le sue ampie murature, ritmate da sobri contrafforti angolari e coronate da cornici spogliate nel tempo delle frange in cotto, così come delle cuspidi, guglie e pitture che dovevano ornarla esternamente; l’intero fianco meridionale chiude la piazza cittadina principale ed è ornato da un orologio pubblico costruito nel 1547 dai figli e fratelli di Giacomo Della Valle con decorazioni di Antonio De Fedeli e da una bella monofora gotica a doppio ordine sormontata da un asimmetrico oculo a capo del transetto (la finestra fu chiusa su disposizione di San Carlo Borromeo nel 1580).
Il portale si apre al sommo di una gradinata semicircolare e immette in un interno ampio a croce commissa (lunghezza m.46,80; altezza delle volte m.20) articolato in tre navate su pilastri in cotto cruciformi ben distanziati tra loro e terminanti con volte a crociera: a differenza degli archi, che sono acuti, i costoloni che sorreggono le vele delle volte, sono a tutto sesto rendendo il tutto schiacciato e pesante rispetto alle altre parti architettoniche. Ogni campata è delimitata da archi ogivali più bassi delle vele per garantire piena luce alle volte così come l’insolito doppio ordine di finestre, monofore e bifore lungo la navata centrale accresce secondo i dettami dell’arte gotica lo slancio verticale della costruzione simbolicamente protesa verso Dio.
L’interno era un tempo tutto ad affreschi votivi in parte riportati alla luce nel 1914 dopo l’intonaco dei napoleonidi e del 1859 allorchè la chiesa era stata trasformata in un grande magazzino per l’armata francese; ampi restauri e accurati recuperi hanno restituito alla comunità asolana un’eccezionale galleria d’arte, ricca di intarsi marmorei, affreschi quattrocenteschi, sculture lignee, altari monumentali e cappelle volute da Confraternite e Scuole (Disciplini, SS Sacramento, S. Giuseppe, del Corpus Domini, …...).
Il pavimento, a bei riquadri marmorei bianchi e rossi, fu posato nel 1794. Numerose le pietre tombali presenti: quella dell’abate Giovanni Battista Badoer, del canonico Redoni, dell’abate Tosio e di Antonio Degli Antoni, del combattivo e generoso sacerdote don Luigi Turbini (1771-1835) per ricordarne alcune.
L’organo con la cantoria e il pulpito sono da considerare insieme. Il primo è una monumentale struttura lignea, opera del primo Cinquecento; l’organo, installato nel 1516 da Giovanni Battista Fachetti bresciano e rovinato da un fulmine nel 1574, fu rifatto nel 1575 del celeberrimo Graziadio Antegnati; nel 1825 i non meno celebri fratelli Serassi lo ricomposero nelle forme attuali. La cantoria e il pulpito sono raffinate opere d’intaglio eseguite dallo Zamara (1516) con dorature di Corrado da Salò.
Ma l’interesse maggiore delle due strutture è costituito dai dipinti che le ornano e costituiscono il maggiore ciclo pittorico del Romanino (che si firma con un autoritratto all’estremità inferiore sinistra della cassa dell’organo) eseguito a partire dal 1525 e cioè negli anni della piena maturità dell’artista. Per una lettura dei soggetti rappresentanti la storia della salvezza, vediamo nella parte anteriore della cantoria, ai lati dell’arcone, gli apostoli Pietro (con le chiavi) e Paolo (con la spada); nei riquadri, sibille e profeti accompagnati dal rispettivo nome e da una loro frase relativa alla venuta di Cristo. Sulle ante dell’organo chiuse sono raffigurati i santi Andrea (allora l’unico titolare del tempio) ed Erasmo vescovo (allora titolare di altra chiesa in città); aperte, due episodi prefiguratori della venuta di Cristo. A sinistra, quello leggendario della Sibilla Tiburtina che, consultata dall’imperatore Augusto sulle sorti di Roma, gli indica nel cielo un’apparizione della Madonna col Bambino. A destra, l’episodio biblico di Abramo che un angelo ferma mentre sta per sacrificare il figlio Isacco.
Nella faccia posteriore della cantoria, ai lati dell’arcone, due protagonisti dell’Antico Testamento: Mosè, che guido il popolo di Dio dalla schiavitù d’Egitto alla libertà e sul Sinai ebbe da Dio le tavole della legge, e il profeta Isaia, che più di ogni altro parlò del Messia venturo; nei riquadri, la Vergine Maria, San Giovanni Battista e una schiera di altri santi.
Del pittore Giovanni Battista Osma, probabilmente, le pitture murali monocrome alla base dei pilastri (1599).
Pilastro cui è addossato il pulpito: una commossa immagine dell’Ecce Homo, cioè il Cristo umiliato nella sua Passione.
Pulpito: nella tavola centrale di nuovo il Cristo, con un cartiglio che dice in latino “Andate a predicare a ogni creatura”; nelle tavole laterali i destinatari dell’invito, cioè gli apostoli; con loro anche l’evangelista Marco, accompagnato dal suo simbolo, il leone.
Residuo della chiesa più antica, il braccio absidale che contiene la Cappella maggiore e il presbiterio è stretto, poco profondo, con la volta relativamente bassa e anche fuori di squadro.
In alto, nella parete frontale dell’abside contrappuntano l’arco ogivale tre belle statue barocche raffiguranti l’Assunta e S. Andrea titolari della chiesa, con il patrono, S. Giovanni Crisostomo3.
Tra le finestre e gli stalli del coro corrono tutt’intorno alle pareti otto dipinti del Moretto, già sotto la loggia del palazzo comunale e traslati in cattedrale nel 1620, per impedire un maggior degrado (le più visibili sono le due tele dell’Annunciazione, mentre le altre hanno per soggetti Isaia profeta, la sibilla Eritrea, i santi Giuseppe, Girolamo, Caterina di Alessandria e Antonio da Padova).
Il coro ligneo, voluto dal visitatore apostolico Carlo Borromeo, raffinato negli intagli viene attribuito alla bottega del bresciano Giovanni Maria Piantavigna. Del Settecento sono il ricco altare e la balaustra, splendenti di marmi policromi, voluti dall’abate Luigi Civran (1748); sul pavimento tra i due è la lapide sepolcrale con ritratto dell’abate Giovanni Battista Badoer, patrizio veneto commendatario asolano dal 1767 al 1785, distintosi per zelo pastorale e carità4.
E’ invece ottocentesco il rosone ottagonale ad angioletti che reggono i simboli della Passione opera di Giovanni Bertini (1859) noto per alcune vetrate del duomo di Milano.
A fianco del presbiterio troviamo, inoltre, il Martirio di S. Simonino che denota influssi di pittura foppesca.
Sotto il rosone splende il Polittico ligneo della Madonna della Misericordia, capolavoro del XV secolo attribuito al cremonese Antonio Della Corna, raffigurante al centro Maria nell’atto di accogliere i fedeli sotto la protezione del suo manto attorniata da alcuni Santi particolarmente cari agli asolani: i Santi Rocco e Sebastiano, S. Andrea titolare della Cattedrale, S. Agata e un Santo Vescovo, probabilmente S. Erasmo.
Ai lati, in altrettanti pannelli, quattro santi a figura intera: da sinistra Lorenzo, Andrea, Marco e Sebastiano. Nell’ordine superiore, al centro è una commovente Crocifissione con Maria e Giovanni ai lati della croce e la Maddalena inginocchiata, in un paesaggio desolato cui sovrasta un cielo cupo; ai lati altri santi: da sinistra, Sant’Antonio abate, un Santo Vescovo, S. Agata e S. Rocco. Più sopra le tavolette entro le cuspidi presentano al centro l’Eterno Padre benedicente e ai lati i quattro maggiori dottori della Chiesa latina, i santi Agostino, Gregorio Magno, Girolamo e Ambrogio. Di soggetto insolito la predella, con le figure degli apostoli recanti ciascuno un cartiglio con un articolo del Credo.
Con i suoi archetti a sesto acuto, le guglie e i pinnacoli, le elaborate cornici in oro su sfondo turchino, il polittico esprime con suprema raffinatezza quel momento del gusto che Guglielmo De Lera ha espresso nello stile della cattedrale e cioè il tardo gotico o gotico internazionale, detto anche, - e questo dipinto ne spiega il motivo -, gotico fiorito.
I santi dei pannelli maggiori dimostrano come il polittico sia stato eseguito espressamente per Asola: a S. Andrea la chiesa è dedicata; degli altri santi è documentata una venerazione locale (il Santo Vescovo potrebbe essere S. Erasmo o S. Giovanni Crisostomo); di S.Marco, patrono di Venezia, è giustificata la presenza sia che il polittico esprima la fedeltà degli asolani alla Serenissima, sia che di là esso provenga quale munifico dono.
Nel braccio sinistro del transetto, accanto a una bella Crocifissione donata da Paolo Tosio (1824) che ricorda i modi di Guido Reni (primo Seicento), si apre una cappella barocca, sorta come chiesa distinta e solo successivamente collegata alla cattedrale. La cappella fu eretta nel 1690-92 a spese del canonico Giovanni Battista Redoni, che la dedicò ai santi Ignazio di Loyola e Teresa d’Avila; dal 1722 viene dedicata a San Giovanni Crisostomo ed è destinata alla custodia della preziosa reliquia, mentre il vano adiacente, separato da balaustra e cancellata, creato come sagrestia della originaria chiesa autonoma, costituisce il battistero. La relativa vasca battesimale, in marmo di Asiago, è adorna di rilievi geometrici che consentono di datarla al XIV secolo.
La cappella presenta pianta quadrata con angoli smussati e copertura a cupola con lucernario, ed è tutta rivestita di raffinati stucchi con rilievi ed affreschi, che narrano episodi della vita dei due santi titolari, Sant’Ignazio fondatore della Compagnia di Gesù e Santa Teresa rifondatrice dell’Ordine Carmelitano5. I due santi, entrambi spagnoli e che ben esprimono il clima spirituale della riforma cattolica seguita al Concilio di Trento, tornano nella tela del battistero di Francesco Paglia (1636-1713) in preghiera dinanzi alla Vergine; nell’angolo in basso a sinistra nella figura di un devoto si può individuare il canonico offerente mentre sopra il putto che indica il motto caro ai Gesuiti ad maiorem Dei gloriam è raffigurata Asola. Sulla parete della pala, a destra, lo stemma dei Torreggiani, a sinistra, quello degli Orsini.
L’altare attuale proviene dalla soppressa chiesa degli Agostiniani; la nicchia che lo sovrasta racchiude il busto-reliquario in argento, opera milanese del 1605, contenente la mascella del Santo che viene esposto nel giorno della festa patronale, il 27 gennaio.
Riferimento sicuro per la devozione popolare testimoniata dai numerosi ex-voto è il santuario-altare della Madonna della Misericordia, originariamente a fianco della porta della torre campanaria e oggi nella testata del transetto di sinistra, la cui vetrata circolare reca lo stemma cittadino.
L’immagine vi è espressa tre volte riassumendo nel diverso stile le vicende decorative del tempio. La parte più antica e pregevole è l’ancona interna, strutturata come un’architettura rinascimentale, dorata su sfondo turchino trapunto di stelle; negli scomparti, la Vergine in trono in atto di adorare il Bambino steso sulle Sue ginocchia; ai suoi lati erano San Girolamo e San Fermo martire, sovrastati rispettivamente dagli apostoli Pietro e Paolo; nella lunetta un Ecce Homo.
L’ancona è finissima opera d’intaglio attribuita allo Zamara che può averla eseguita a partire dal 1530, oggi mutila per il furto delle statue mancanti e del Bambino, sostituito da altra figura.
Nel 1672 Gaspare Bianchi di Pavone Mella incorniciò questa stupenda ancona nella monumentale struttura a due colonne reggenti un timpano tronco, sul quale torna, tra due santi, la Madonna col Bambino. La balaustra e l’altare in marmi policromi intarsiati, sono festosa realizzazione dell’ultimo barocco, impreziosita nel paliotto di tre statuette: di nuovo la Vergine, tra i santi Giacomo apostolo e Maria Maddalena, questi ultimi scelti in rapporto agli sposi Giacomo e Maddalena Marinoni che donarono l’opera nel 1732.
La cappella trae il nome dalla nobile famiglia asolana il cui stemma campeggia tra gli affreschi della parete. Questi ultimi, attribuiti al già ricordato Antonio Della Corna, attendono un pieno recupero; vi si può già distinguere, tuttavia, una delicata Natività. L’altare, dopo varie dedicazioni (tra cui quella di S. Rocco), porta ora il nome di Sant’Innocenzo, i cui resti mortali sono raccolti nell’urna sopra la mensa.
Un tempo intitolato a S. Agata, dal 1602 è dedicato alla Madonna del Rosario, la cui confraternita ne aveva fatto istanza ai Deputati del Consiglio; si compone di una struttura marmorea finemente scolpita, con due colonne corinzie reggenti un timpano spezzato adorno di sculture (la Vergine e due angeli).
Nel paliotto dell’altare, che si orna delle statuette di Sant’Ignazio e Santa Teresa d’Avila proveniente dalla cappella ora dedicata al patrono della città, viene raffigurato il massacro della Legione Tebana perché cristiana a cui apparteneva S. Innocenzo; al centro, la grande pala, firmata e datata da Palma il Giovane (1621), in cui S. Domenico (secolo XIII) riceve dal Bambino Gesù rose con cui intrecciare una corona da offrire a Maria (origine del rosario, di cui l’ordine domenicano fu attivo promotore). Accanto a S. Domenico sono tre sante: Caterina da Siena, anch’essa domenicana, Lucia e Agata cui in precedenza l’altare era dedicato e che ritorna con i santi Silvestro, Rocco e Antonio abate, nei tondi a fresco della volta, mentre l’immagine di San Domenico accompagna quella di Sant’Antonio di Padova nelle due mosse statue settecentesche ai lati della tela.
Nel 1662, nel giorno della sua festa, dopo un accidentale scoppio del deposito delle polveri in cui la città riconobbe la protezione del Santo, il Consiglio fece voto di erigere un altare in suo onore, decorato in seguito con una tela raffigurante Asola personificata in preghiera.
Incorniciava questa pala un’ancona lignea, rimossa nel 1990, quando fu scoperto un sottostante ciclo di affreschi di pregevole fattura cinquecentesca, con temi riconducibili al tema eucaristico: questo altare infatti era dedicato in precedenza al Corpus Domini, come dimostrano i simboli appunto eucaristici rappresentati nell’intera campata, sino alla chiave di volta. Sulla destra dell’altare, con il martirio di S. Stefano e San Lorenzo, è raffigurata la Presentazione di Gesù al tempio; degna di nota, inoltre, la figura del santo in abito cardinalizio (S. Girolamo) reggente quello che sembra essere il modellino della cattedrale.
Collegato a questo ciclo, sulla parete in controfacciata, sotto la finestra, è affrescato un vasto cenacolo del 1516, riproducente nei personaggi a mensa (diverso è l’ambiente sovrastante) l’Ultima cena dipinta da Leonardo a Milano pochi anni prima. La copia asolana, una delle prime attestanti la forma originaria del capolavoro vinciano, riporta in particolare, rispetto all’originale, la dicitura posta appena sopra il capo di Gesù che individua il preciso momento rappresentato quando si annuncia “Amen dico vobis quia unus vestrum me traditurus est”: a così sconvolgente rivelazione, gli astanti si scompongono, riunendosi a tre a tre per interrogarsi e interrogare; la figura di Gesù ne resta simbolicamente isolata, per dire che egli è solo nell’affrontare la sua Passione, alla quale tuttavia si offre, come esprimono le braccia e le mani distese sul tavolo quasi in un gesto di resa.
Passando nella navata destra, si noti sul primo pilastro il robusto affresco del Cristo flagellato, da alcuni attribuito all’asolano Filippo Piazzone detto “Vanù”: si caratterizza, come diverse altre pitture murali, per gli arabeschi in nero su fondo giallo che corrono attorno alla figura; sul lato opposto l’immagine deteriorata ma individuata dalla scritta, di una gloria locale: il frate francescano Roberto da Asola, morto il 27 novembre 1467 nel convento di Martinengo (Bergamo) e, nel martirologio del suo Ordine, annoverato tra i Beati.
L’altare è legato all’episodio più glorioso della storia cittadina: la resistenza opposta alle soverchianti truppe dell’imperatore Massimiliano I, durante l’assedio da lui stesso guidato nel 1516. Nel momento di maggior pericolo, i responsabili delle sorti comuni fecero voto che se la città si fosse salvata avrebbero eretto in cattedrale un altare in onore di San Giuseppe: inaspettatamente gli assedianti tolsero il campo proprio all’alba del 19 marzo. Due anni dopo, compiuto l’altare, fu deciso anche di celebrare ogni anno solennemente la festa del santo, in memoria dell’evento; ebbe origine allora la fiera, soppressa poi dall’Austria cui pare desse disturbo il ricordo di una sconfitta germanica.
La pala, attribuita in passato al Tiziano e al Moretto, viene oggi riconosciuta come di Giovanni e Bernardino d’Asola: essa celebra il santo, cui Dio affidò il suo Figlio bambino, con la scena dell’Adorazione dei pastori dove Giuseppe campeggia in posizione centrale e frontale, quasi trasposizione terrena dell’Eterno padre raffigurato nella lunetta. I due pittori, residenti a Venezia, avrebbero eseguito l’opera asolana dopo il ritorno in patria nel 1517, mediando componenti pittoriche venete e bresciane: il paesaggio è un’eco della Natività Allendale di Giorgione conservata presso la National Gallery of Art di Washington.
Anche questa pala fu inglobata in seguito in un’imponente ancona, da poco rimossa per recuperare un altro ciclo di affreschi del Cinquecento opera dello stesso pittore lombardo che ha ornato la cappella di fronte di S. Antonio.
Essi ripresentano la figura di Giuseppe (ripreso inoltre nell’intarsio marmoreo del paliotto) con altri santi: Francesco e Antonio di Padova e, a destra, santi vescovi con Eligio in atto di risanare la zampa di un cavallo (motivo per cui questo santo è patrono, oltre che degli orefici, dei maniscalchi). La fascia superiore degli affreschi rappresenta due momenti della vita di Gesù: di nuovo la Natività e la Deposizione dalla croce. La figura inginocchiata è quella del devoto che ha offerto alla chiesa questo tratto di decorazione, o di un defunto in suffragio del quale la famiglia si è assunta l’onere del lavoro.
Il condottiero Riccino (1480-1522) fu tra i primi ed intrepidi combattenti contro l’assedio imperiale di Asola del 1516: a capo di una limitata guarnigione militare, ma supportato dalla cittadinanza con lui sugli spalti, tenne testa all’esercito di Massimiliano I.
In sostituzione al precedente in onore degli apostoli Filippo e Giacomo, venne eretto nel 1586 quando il Consiglio concesse ai bombardieri di onorare così la loro patrona. I precedenti titolari non furono però dimenticati, perché compaiono due volte: nelle statuette del paliotto, ai lati di quella della santa, e nella pala dipinta, ai lati della Madonna col Bambino a comporre quel Cielo in cui sta per entrare la vergine e martire Barbara, che il suo stesso padre sta per decapitare per non aver voluto ripudiare la sua fede cristiana. Autore del dipinto è il bresciano Antonio Gandino allora attivo a Venezia: Al sommo dell’ancona in marmi polcromi, allude ancora ai bombardieri la panoplia (cioè un insieme di armi disposte come trofei) a bassorilievo.
Si notino inoltre il bel tabernacolo con la statua del Risorto e, ai due lati dell’altare, le immagini affrescate di Santa Lucia e Santa Apollonia.
Il pilastro che precede quello del pulpito presenta, nella faccia rivolta verso quest’ultimo, l’arme e una memoria elogiativa del principe romano Scipione Orsini, condottiero divenuto cittadino di Asola e qui morto nel 1524.
Nel 1570 l’omonima confraternita volle onorarvi l’Immacolata Concezione di Maria (precedentemente era denominato di Santa Maria alla Colonna). Un’elegante struttura in marmi policromi incornicia una soave tela riportata dopo una grave menomazione a piena leggibilità.
E’ stata erroneamente attribuita a Lattanzio Gambara: in realtà, come la pala del Gandino, fu collocata dopo il 1597 quando il pittore bresciano era già morto.
Sullo sfondo di una bella architettura chiesastica, la dolcissima Vergine è pervasa dalla grazia divina sotto forma di luce irrompente tra un coro di angeli, quella grazia che sin dal suo concepimento l’ha preservata dal peccato in vista della sua divina maternità: di qui la presenza del suo Figlio, a sua volta irradiante luce e indicante il suo precursore Giovanni, il futuro Battista. Il libro che Maria ha tra le mani è quello della sacra scrittura, con le sue profezie relative al venturo Messia e quindi anche a Lei; quanto all’anziana donna rannicchiata in secondo piano, può trattarsi di Elisabetta, la madre di Giovanni, o di Anna, la madre che generò appunto l’Immacolata.
Anche questa cappella ha restituito un mirabile ciclo di affreschi attribuiti al Della Corna di fine XV. Da notare, nella volta, la Madonna col Bambino e i santi Andrea, Marco e Lorenzo. Alta sulla parete, un’ Annunciazione riserva insolita evidenza alla figura di Dio Padre, per la cui volontà, realizzata con l’invio dello Spirito Santo, si deve l’incarnazione del Figlio nel grembo, e dunque l’opera della redenzione. Subito dopo due santi: Francesco d’Assisi riceve le stigmate dal Cristo crocefisso; Bernardino da Siena regge la sua famosa tavoletta su cui, entro un sole sfolgorante (simbolo di Cristo), sono scritte le iniziali latine dell’espressione “Gesù Salvatore degli uomini”.
Si noti, inoltre, in basso, la realistica figura dell’offerente rivestito di armatura, presentato alla Vergine da S. Antonio Abate.
Posto a capo del transetto destro, l’altare del SS.Sacramento o del Corpus Domini proviene come quello di S. Antonio dalla distrutta chiesa di S. Francesco (1860): ricco di marmi e sculture contiene una vasta tela raffigurante Gesù riunito con i suoi discepoli per l’Ultima cena attribuita al lucchese Pietro Ricchi detto il Tenebroso, morto nel 1675. Al soggetto della pala ben si addicono le tre statue poste a sommo del fastigio, rappresentanti la Fede, la Speranza e la Carità.
Appena prima della balaustra è la tomba di Giovanni Battista Tosio abate commendatario di Asola dal 1665 al 1705 che molto si adoperò per far riconoscere la piena autonomia della Chiesa asolana.
Alla sinistra dell’altare del Corpus Domini, trova collocazione la maestosa tavola dell’Assunta, sul finire del Settecento donata nel 1790 dal conte Ottaviano Tosio di Sorbara di Asola, la cui ragguardevole collezione privata di dipinti il figlio Paolo ha lasciato alla città di Brescia andando a costituire il nucleo originario della pinacoteca Tosio Martinengo.
Il Diario della città e diocesi di Asola per l’anno 1790 ascrive a Giulio Romano la pala, mentre la critica recente si è pronunciata a favore di Fermo Ghisoni, pittore lombardo, collaboratore di Giulio Romano a Mantova.
Ignota la provenienza: è possibile che il conte Tosio l’abbia acquisito da una delle tante chiese soppresse in quel periodo.
La porta a destra del presbiterio immette nella sagrestia (costruita nel 1563) e di qui per una scala si accede al museo della cattedrale, costituito nel 1984 e intitolato a Giovanni Battista Tosio, benemerito abate commendatario dal 1664 al 1705. Tra i mobili e i dipinti che arredano la sagrestia, spiccano un’antica panca lignea, altri bei mobili6 e un ritratto dell’abate Tosio, interessante anche perché mostra una veduta della fortezza di Asola ancora circondata dalle mura.
Tra le numerose suppellettili che il museo raccoglie, per la maggior parte dismesse dalla cattedrale e tutte a vario titolo degne di nota, spiccano per importanza storica e dignità d’arte le seguenti:
Sculture lignee del primo Cinquecento, attribuibili in larga parte allo Zamara. Alcune provengono dalla cattedrale, come il Sant’Antonio abate e la Madonna Annunciata (identificata dal Besutti come una delle tre che erano state commissionate e collocate sul cornicione dell’organo). Altre dalla vicina chiesa di Santa Maria della Misericordia detta dei Disciplini Bianchi, come il Cristo deposto e le due struggenti figurine inginocchiate, colte in un momento di intensa preghiera. Esse raffigurano due confratelli della Compagnia dei Disciplini Bianchi, come mostra il loro abito: bianco, con cappuccio rialzato sul viso ma pronto ad essere calato (si notino le aperture in corrispondenza degli occhi) quand’è il momento di “darsi la disciplina” sulle spalle, allo scopo lasciate ignude;
Croce astile in argento sbalzato e cesellato, databile alla prima metà del secolo XVI: sulla facciata anteriore Maria e Giovanni ai lati del Crocifisso, la Maddalena ai piedi e in alto il pellicano, tradizionale simbolo di Cristo; sulla faccia posteriore San Pietro, San Michele arcangelo, la Sapienza e la Verità fanno corona all’immagine della Madonna della Misericordia;
Baculo pastorale in argento inciso e sbalzato a motivi vegetali, opera probabilmente veneziana della fine del Seicento e dunque del tempo di Mons.Tosio.
Croce pettorale dello stesso periodo e della stessa provenienza, in oro massiccio cesellato e impreziosito da trenta smeraldi e altre gemme; sul retro è la figura di San Giovanni Crisostomo, con i simboli della Fede, della Speranza e della Carità;
Paramenti di S. Carlo Borromeo, da lui donati alla cattedrale, come vuole la tradizione, o più semplicemente da lui indossati durante la sua visita apostolica del 1580. Consistono principalmente in una pianeta e una mitria preziose e rare, in velluto rosso a motivi floreali su fondo d’oro;
Dipinti, tra cui un Cristo portacroce di scuola fiamminga attribuito a Francesco di Bosio Zaganelli; un dipinto seicentesco attribuito a Stefano Danedi detto Montalto e raffigurante la negazione di Pietro; un Cristo paziente sempre del secolo XVII e una serie di ritratti dei prelati di Asola.

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